SASSARI. Una lettera aperta, postata su una pagina-profilo di Facebook, come estremo tentativo di stabilire un contatto con l’assessore regionale al Lavoro Antonello Liori. È l’ultima iniziativa degli ex collaboratori del progetto Lavor@bile che fino al dicembre scorso erano impiegati nel centro servizi lavoro, ex ufficio di collocamento. «Nell’impossibilità di incontrarla – scrivono all’assessore in una pagina del noto social network – visto che per ben tre volte si è richiesto un incontro con lei tramite la sua segreteria, voglia avere almeno la cortesia di leggere questa nota che molti altri leggono liberamente sul web». L’intento è quello di evitare che in mezzo a tante vertenze aperte cali il sipario su un altro dramma che per diversi mesi è stato al centro dell’attenzione. La storia è molto simile a quella dei 31 lavoratori dei Csl che da circa un mese presidiano piazza d’Italia. Un’odissea durata circa due anni, conclusasi col mandato dei lavoratori all’avvocato Elisabetta Udassi, che nel maggio scorso aveva notificato a Provincia e Regione la richiesta di provvedere all’immediato reintegro dei lavoratori a tempo pieno e indeterminato sulla base della presunta illegittimità del provvedimento con cui la Provincia aveva fatto scattare il licenziamento. La storia comincia due anni fa, dopo lo stanziamento di un finanziamento regionale riservato ai disabili, voluto dalla giunta di Renato Soru. Nove lavoratori disabili (circa ottanta in Sardegna) erano stati inseriti nel programma di avviamento professionale previsto dalla legge 68 del 1999. Un’età fra i 30 e 50 anni, titoli alle spalle e la qualifica di operatori di computer, avevano cominciato nel centro servizi per il lavoro, l’ex ufficio di collocamento di via Bottego. Con un contratto part-time, facevano 15 ore la settimana per 550 euro al mese, in cambio offrivano un servizio prezioso, l’aggiornamento del sistema informatico del Csl. Nel tempo hanno acquisito competenze e professionalità. Lo scorso aprile, durante un incontro a Cagliari, si erano accese le speranze perchè la proroga sembrava cosa fatta, ma a fine ottobre era arrivata la doccia gelida. Dopo un incontro in Provincia avevano avuto la notizia che i soldi erano finiti e che ci sarebbero state difficoltà per trovarne altri. Si era profilato subito un periodo difficile, tenuto conto della loro condizione di disabili e dell’età. Sulla questione aveva preso posizione il consiglio provinciale con un ordine del giorno bipartisan, firmato da 22 consiglieri, per lanciare un appello alla Regione e all’Unione delle province sarde con la richiesta urgente di trovare le risorse per ridare gambe al progetto. Le speranze si erano riaccese lo scorso dicembre, quando il consiglio provinciale, durante una seduta infuocata, aveva deciso di rifinanziare l’attività con un bando di concorso. L’ordine del giorno, primo firmatario il consigliere Alba Canu, era passato all’unanimità e anche se il provvedimento non dava per scontata la proroga del contratto in tanti avevano tirato un sospiro di sollievo. A maggio la vertenza aveva imboccato le vie legali, poi il «silenzio radio». Ieri l’ultima clamorosa iniziativa.
Antonio Meloni
Fonte La Nuova Sardegna 28 Settembre 2011

SASSARI. La vertenza Lavor@bile approda sulla scrivania dei magistrati di Strasburgo. Dopo anni di trattativa estenuante e altrettante promesse vane, i lavoratori disabili dei Centri servizi lavoro (ex uffici di collocamento) hanno imboccato la strada che porta direttamente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, l’organo di giustizia internazionale a cui ha aderito da tempo anche l’Italia.L’altro ieri, con una raccomandata, è stato spedito ai giudici internazionali un dettagliato dossier che racconta la loro storia e i diversi tentativi di vedere riconosciuto il diritto al reintegro in servizio con un regolare contratto a tempo indeterminato. Il documento è firmato dai portavoce della costituenda associazione che avrà il nome del progetto, Ermelinda Delogu e Francesco Caria, i quali, senza usare mezzi termini, a nome di tutto il gruppo, puntano l’indice contro la Regione sarda accusandola di avere adottato nei loro confronti un atteggiamento discriminatorio.«L’immobilismo fino ad oggi perpetrato dall’istituzione in oggetto (la Regione Sardegna ndc) – è scritto nella lettera di accompagnamento del plico – ci porta alla denuncia formale presso gli uffici competenti affinché un intervento immediato e risolutivo ponga fine alla vergogna a cui ci hanno costretto». 
PORTO TORRES. Se non rischiasse di essere riduttivo, si potrebbe concludere che dopo lo smacco è arrivata la beffa. Perché dopo anni di vertenze, nel momento in cui erano convinti fosse arrivata la stabilizzazione, gli operatori del progetto Lavor@abile sono dovuti tornare in piazza. Lo hanno fatto nei giorni scorsi per protestare contro la Regione che, a loro dire, non li ha inclusi nel piano di riorganizzazione dei Centri servizi del lavoro dove hanno operato per quasi sei anni. Per capire bene cosa sia successo, è necessario riavvolgere il nastro di almeno sei mesi e cioè quando, a maggio scorso, la Regione ha varato una specie di piano di riorganizzazione dei Csl, gli ex uffici di collocamento. Il bando è di due mesi più tardi e siamo ad agosto quando alcuni di loro, convinti di avere pieno diritto alla partecipazione al concorso, hanno fatto domanda per l’inserimento nei Centri. «I termini erano chiari – spiega Linda Delogu, portavoce della costituenda associazione Lavor@bile –: tutte le persone che a vario titolo hanno operato nei Csl entro il dicembre del 2012, possono essere assunte nei Centri attraverso l’Agenzia regionale del lavoro». Loro hanno studiato i termini del bando e ritengono di rientrarci in pieno perché, tra assunzioni e proroghe, hanno avuto almeno quattro contratti tra il 2006 e il 2012. Peccato che quelle domande, presentate per tempo in Regione dagli ex Lavor@abile, non siano state accolte. «Lo abbiamo scoperto a cose fatte – incalza Linda Delogu – dopo una serie di rimpalli tra strutture e un sit-in di fronte alla Regione, siamo stati ricevuti in assessorato, a Cagliari, dove ci hanno detto a chiare lettere che di noi non conoscevano nemmeno l’esistenza». Per ovviare all’inconveniente, la Regione ha avanzato la controproposta di farli lavorare sei mesi nei Comuni in regime di servizio civile in attesa di capire come risolvere la questione: »La nostra risposta – conclude Delogu – non poteva che essere negativa perché dopo tanti anni e altrettante vicissitudini riteniamo sia arrivato il momento di vedere riconosciuto il nostro diritto al lavoro». Ora i Lavor@abile, 50 persone in tutta la Sardegna, hanno deciso di costituirsi in associazione e di andare fino in fondo a una vicenda che dura da troppo tempo. «Chiediamo all’assessore Mariano Contu di essere inseriti, con decreto urgente, nel piano di riorganizzazione dei Csl e siamo disposti a portare la vertenza fino agli uffici europei di Bruxelles qualora da Cagliari non arrivasse risposta». La storia di questi operatori è stata raccontata tante volte: in Regione, nel 2006, c’era Renato Soru quando il progetto Lavor@abile è stato varato per la prima volta. L’intento era quello di consentire a lavoratori disabili, e titolati, di operare all’interno dei Centri servizi del lavoro. La loro condizione non ha certo impedito di lavorare alacremente e guadagnare la stima dei colleghi e di tuti gli utenti. Ora la vertenza sembra arrivata a una svolta, a meno che, di fronte all’eventuale silenzio della Regione, i Lavor@bile non decidano di ricorrere all’Unione europea.
SASSARI. Il caso dei nove lavoratori del progetto “lavora@bile” approda in un’aula di tribunale. A circa tre anni dall’avvio della vertenza promossa da nove ex dipendenti disabili del Centro servizi lavoro, giovedì A Palazzo Righi di viale Umberto, si apre il processo contro la Provincia. Responsabile, secondo il ricorso presentato dall’avvocato Elisabetta Udassi, legale dei lavoratori, di avere applicato un contratto nullo. Qualora il ricorso fosse accolto, il giudice potrebbe decidere di risarcire i lavoratori, che lamentano un danno biologico. Se avesse torto, l’amministrazione di piazza d’Italia, assistita dall’avvocato Marcello Bazzoni, rischia di pagare un conto salatissimo (circa otto milioni di euro), tenuto conto che l’eventuale risarcimento del danno sarebbe stabilito in base alle percentuali di disabilità che oscillano tra il 67 e il 100 per cento. Le valutazioni dell’avvocato Udassi sono state depositate il 13 dicembre all’ufficio del giudice del lavoro che dovrà ora accertarne la sussistenza. Stando ai rilievi mossi dal legale, che fanno seguito alla diffida notificata a Provincia e Regione nel maggio del 2011, il contratto a tempo determinato usato per assumerli sarebbe nullo all’origine perché incompatibile con la legge 68 del 99 che, in caso di assunzione di personale disabile, impone contratti a tempo pieno e indeterminato. In questi lunghi mesi, i lavoratori hanno seguito da vicino la delicata fase istruttoria e contribuito a raccogliere elementi che l’avvocato giovedì al giudice Elena Meloni. Prima del processo i lavoratori hanno voluto manifestare il loro stato d’animo: «Siamo sereni – dice Speranza Usai, 47 anni, per quasi due anni operatore di sportello al Csl – ma non nascondiamo la nostra tensione alla vigilia di un processo che speriamo possa restituirci la dignità di persone e lavoratori». «Al di là di come andrà a finire – prosegue Ermelinda Delogu, 49 anni, madre di tre figli – riponiamo tutta la nostra fiducia nel corso della giustizia con la speranza di riavere quella parola per tanto tempo negata». Un’odissea durata circa tre anni, conclusasi con la decisione «ponderata fino all’ultimo momento – tengono a precisare i lavoratori – di chiamare in causa l’amministrazione provinciale dopo tante richieste di riassunzione sempre cadute nel vuoto». La loro storia comincia tre anni fa, quando grazie a un finanziamento regionale riservato ai disabili, voluto dalla giunta di Renato Soru, erano stati inseriti in un programma di avviamento professionale previsto dalla legge 68 del 99. Età fra 30 e 50 anni, qualifica di operatori di computer, avevano cominciato nell’ufficio di via Bottego. Con una particolarità: sono tutti disabili, provati dalla sorte ma per niente rassegnati. Con un contratto part time, 15 ore la settimana per 550 euro al mese, offrivano un servizio prezioso aggiornando il sistema informativo dell’ente e allacciando relazioni con gli utenti. Nel tempo hanno acquisito professionalità e il rispetto di tutti. Ma alla scadenza del contratto è arrivata la doccia fredda. Le speranze si erano riaccese nel dicembre del 2010 dopo l’ordine del giorno, primo firmatario il consigliere Alba Canu, che ridava gambe al progetto. Il provvedimento, passato all’unanimità, non dava per scontata la proroga del contratto, ma prevedeva la pubblicazione di un bando. In tanti avevano tirato un sospiro di sollievo, poi niente. La decisione di ricorrere alle vie legali è sembrata un epilogo scontato per chiedere giustizia su una questione nella quale storie personali si intrecciano a motivazioni professionali. La parola al giudice.